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La storia dei mulini e pastifici di Montenero PDF Stampa E-mail
Scritto da Nicola Borgia   
Domenica 22 Giugno 2008 01:00
A sinistra Giuseppe Di Cintio pastaio di Montenero. A destra un pezzo di una fattura di vendita del pastificio Di Cintio

Impresa piuttosto ardua per via delle scarse notizie presenti nei vari Archivi di Campobasso, Montenero neppure a parlarne. Recentemente l’Università di Campobasso si è cimentata in una ricerca al riguardo ma nessuna citazione di Montenero. Sicuramente il primo Mulino “A Vapore” fu impiantato nel 1831, da  Luciani Nicola discendente di Giuseppe, venuto da Castropignano nel 1754. (sembra per evitare che la propria moglie dovesse sottostare  al diritto  feudale “Ius primae noctis” secondo voci degli anziani di tanti anni fa). Successivamente al mulino si aggiunsero: pastificio, lanificio e oleificio. Credo che di quegli anni dovrebbe essere anche il pastificio Di Cintio, di proporzioni modeste e a conduzione familiare pure loro immigrati da Vasto e pastai da diverse generazioni. Queste notizie le ho raccolte dagli archivi di Vasto e da un atto notarile redatto in Montenero dal Notaio Filippo  Di Lena in cui compare come testimone  Di Cintio Giuseppe , pastaio nato il 23/02/1830. Non  ho altre notizie  per quel che riguarda il 1800. Nel 1921, il 15 novembre il complesso “Luciani” viene distrutto da un incendio devastante, sembra di natura dolosa. Per quanto riguarda il pastificio Di Cintio: l’ultimo proprietario è stato certamente Di Cintio Antonio, scomparso nei primi anni del 1900 e quindi diventa di proprietà di Giuseppe, mio padre che, non ancora quindicenne rimasto orfano e chiamato alle armi dopo la disfatta di Caporetto(1a   Prima guerra mondiale), fu costretto a vendere il pastificio a Di Pietro Nicola che mantenne l’attività fino agli anni sessanta circa.

Tornato dalla guerra Di Cintio Giuseppe, qualche anno dopo, apre un mulino a cilindri (per quei tempi modernissimo). Dopo la seconda guerra mondiale, riprende anche l’attività di pastaio fino  al 1959 anno della sua morte. Non posso non citare  in quest’ultimo periodo un fedelissimo Confalone Pasquale che iniziò adolescente e non lasciò  più quel lavoro fino all’ultimo giorno, tanto da essere considerato uno di famiglia. Commovente il suo gesto di infilare nel taschino del principale (gran fumatore) un pacchetto di sigarette, prima che chiudessero la bara. Negli anni ’50-’60 ci furono  tentativi per attivare altri pastifici ma finirono ancor prima di iniziare. Altro mulino in attività nel dopo guerra, molto piccolo, fu aperto da Busico Paolo in via Regina Margherita, infine ne sorse un altro di fronte alla caserma dei Carabinieri, anno 1955,  proprietario tale Marchesani Vincenzo.
Ora passo alla descrizione della lavorazione della pasta:
Nel 1800 e per alcuni decenni del secolo scorso la lavorazione ricadeva quasi interamente sulle braccia dell’uomo, infatti l’impastatrice era azionata a manovella, di lì la pasta veniva messa in un torchio munito di trafila che determinava la forma della pasta e pressata da un meccanismo formato da vite e madrevite sempre azionato dalle braccia dell’uomo. Per l’essiccamento, nelle belle giornate, veniva sfruttato il calore solare. La pasta veniva posta fuori ad essiccare. Raccontava mio padre che a lui toccava il compito, oltre che studiare, fare attenzione che gli uccellini non beccassero la pasta, altrimenti erano dolori. Gli addetti alla produzione della pasta erano diversi e variavano sia per il tipo di macchinari che per il tipo di pasta che si produceva in quel momento. La pasta corta, ad esempio, richiedeva poca manodopera.

 

Una veduta del mulino Di Cintio
su SCATTI DI VITA

(inviata da Assogna Antonio)

  • Vi era uno addetto alle impastatrici, compito molto importante, sia per la qualità dell’impasto che per il tempo, più a lungo veniva impastata la semola e migliore era la pasta. L’acqua non ha quell’importanza che molti credono, semmai la sua temperatura. L’acqua calda rende la lavorazione più veloce e più semplice, però la pasta può avere un sapore acidulo (l’acqua calda può portare l’impasto a fermentazione) e non tenere la cottura, cose che non avvengono con l’acqua fredda. Influivano molto invece le trafile sia per il materiale che le componevano che per il sistema di trafilatura. Allora si usavano le trafile in bronzo, che presentavano rispetto ai materiali moderni tanti vantaggi, il più importante: la pasta era ruvida e assorbiva molto condimento migliorando in tal modo notevolmente il sapore. Da un po’ di tempo la pubblicità di qualche pastificio mette in risalto il materiale della trafila: il bronzo. Sarà vero?
  • Un altro aveva il compito di tagliare la pasta “lunga” quando raggiungeva la misura più o meno giusta.
  • Due avevano il compito di stendere la pasta su apposite canne che venivano poi sistemate in apposite cabine di essiccamento. La pasta corta invece veniva tagliata da una  taglierina azionata da motore elettrico, che variava la velocità in base alla lunghezza del tipo di pasta, e sistemata in appositi telai. La cabina di essiccamento era completamente diversa da quella della pasta lunga. Per  l’essiccamento bisognava tenere conto delle condizioni atmosferiche, temperatura, umidità e conseguentemente regolare l’apertura delle prese d’aria, del tempo di erogazione di aria calda e aspirazione dell’umidità che la pasta stessa creava nelle cabine di essiccamento

Con il tempo l’uomo venne sostituito da macchinari sempre più perfetti fino ad essere sostituito del tutto. Oggi si programma tutto con il computer e dal grano prelevato da appositi silos si arriva alla pasta già confezionata.

Non era mia intenzione riproporvi, in maniera esatta, la storia dello sfarinamento del grano e dell’arte della pasta, ma semplicemente dare una idea dell’attività industriale e artigianale di Montenero dal XIX  secolo, sperando di aver fatto cosa gradita ai giovani che guardano anche al passato.

 

Altri reportage di Dante Di Cintio:

Storia dei campi sportivi di Montenero di Bisaccia

La patente di guida a Montenero di Bisaccia

La storia di Don Modesto Gugole


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